Sabato, 18 Agosto 2007 15:33

Cosa dipinge il pittore?

Scritto da  Gerardo

Come da programma, a margine della Summer School, si terrà la mostra di Giuliano Della Pergola dal titolo “Opere” (18-29 agosto).
L’inaugurazione è prevista per sabato 18 agosto, ore 18.00, con interventi di Gianna Coppini, Giuliano Della Pergola e Arnaldo Nesti.
A seguire l’intervento di Della Pergola, dal titolo Cosa dipinge il pittore?
Cosa dipinge il pittore?

Cosa dipinge all’infinito il pittore? All’infinito dipinge il proprio mondo interiore, il proprio mondo morale. Cosa non può non dipingere il pittore? All’infinito, dipinge solo se stesso, quell’io che vive nascosto e che la pittura palesa. L’arte astratta nasce da questa consapevolezza: che i temi classici della pittura (le nature morte, gl’interni, i ritratti, gli ambenti, il mare, le vele, i cipressi…), altro non sono che oggetti imprestati all’io perché dipingendoli, l’io possa mostrarsi, e dunque uscire dal suo ripostiglio interiore e farsi vedere. Giotto nel dipingere Gesù, dipingeva se stesso; Picasso nel dipingere gli arlecchini, dipingeva se stesso; Mondrian nel dipingere le sue figure razionaliste, i suoi spazi rossi, gialli e blu, dipingeva se stesso. Non se ne esce. Così dunque, anch’io non faccio che dipingere le mie forme interiori, forme che neppure io conosco fin quando non le metto su una tela. La pittura è manifestazione del pittore a se stesso, ed anche rivelazione, auto-rivelazione.
Spesso si tratta di forme che emergono per la prima volta proprio nel fare un quadro. Il quadro è la manifestazione nella pittura, con la pittura, delle forme che vivono dentro di me. Talvolta si tratta di forme semplici e nitide, altre volte di forme aggrovigliate e complicate, proprio come sono io, proprio come siamo uno a uno noi tutti, perché la pittura è manifestazione non solo dell’io profondo e nascosto dell’anima del pittore, ma è anche manifestazione dell’inconscio collettivo, cioè delle forme sociali che ci permettono di comunicare e di parlare tra di noi. Si dice infatti che un pittore (non meno di qualsiasi altro artista: il romanziere, il musicista, il poeta…) sia colui che interpreta il proprio tempo. E’ il linguaggio comune ciò che ci unisce e che permette all’arte, qualunque essa sia, di diventare comunicazione tra gli uomini, e quindi anche messaggio, cioè collante sociale.
Nata nel silenzio e nell’attesa, nella meditazione solitaria, la pittura si trasforma in linguaggio collettivo, socialmente dato, politicamente definito. Ma non si confonda l’oggetto della pittura con il suo stile: è il suo stile ciò che definisce l’artista, non la scelta dei suoi temi. Oggetto della pittura è un come, non un che cosa. Non basta dipingere una colomba per parlare di pace; se vuoi comunicare pace potrai anche dipingere una colomba, ma in tutti i casi sarà solo nel come la dipingi che trasmetterà o no, pace. Perché se tu non sei nel tuo intimo un uomo di pace, avrai un bel dipingere colombe, le povere colombe che dipingi non diventeranno mai messaggi di pace. Dunque, bisogna essere umani per essere pittori, e se non si è uomini non si dipinge bene. La pittura rimanda all’umanità profonda ed autentica dell’artista in una circolarità assoluta: tu sei, e se vuoi manifestare il tuo essere uomo dipingendo, potrai farlo. Tuttavia solo se se la tua umanità sarà selezionata, anche la tua pittura uscirà dal guazzabuglio, quasi sempre arbitrario, del “mercato dell’arte”, o a quello delle “mode artistiche”, o delle “tendenze pittoriche”.
Innanzi tutto il pittore dipinge “per-sé”, e guai se viene meno a questo principio etico profondo. Il pittore che dipinge per il mercato, per le mode o per le tendenze, è già finito come pittore. La pittura è un continuo ricercar-si, in autenticità d’intenti. Tutto il resto è secondario, e spesso anzi, fonte di fraintendimenti, e può diventare addirittura svendita della propria ricerca profonda per il danaro, o per la ricerca della fama, o peggio ancora per seguire le mode, che sono le peggiori nemiche del pittore. Paradossalmente, solo il pittore per-sé è anche pittore per altri.
Anche l’esporre non si sottrae all’essere ambivalenza e inadeguatezza: certo, bisogna che il pittore esponga, che si esponga; ma esporre è un colloquio a distanza con un pubblico ignoto e transeunte, che passa, guarda e dice la sua. Esporre può anche essere superfluo; quel che invece non deve mai venire meno è la passione per dipingere, quella tensione verso la pittura (che può anche conoscere pause e silenzi, oltre che furore pittorico), che coincide con la vita segreta e profonda del pittore, la sua ragion d’esistere, il suo tormento intimo e quasi sempre poco dicibile.

Giuliano Della Pergola
San Gimignano, luglio 2007
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